Il cittadino di Padova che in questi giorni getta lo sguardo sui manifesti gialli che tappezzano la città, o apre la prima pagina del sito della rete civica, difficilmente si rende conto che dietro il titolo Contributo per il pagamento dell'affitto anno 2001 c'è un atto di coraggio; lo prende certamente per un normalissimo titolo, che parla di una cosa semplice, la possibilità di ottenere un contributo dal Comune per pagare l'affitto della propria abitazione.
Il cittadino comune, infatti, non sa che quello che lui, parlando di un'abitazione, chiama affitto, giuridicamente si chiama locazione; l'affitto, invece, è (cito dallo Zingarelli) una "locazione avente per oggetto un bene produttivo" (e difatti il codice civile parla di affitto di fondi rustici o di aziende, ma non di affitto diimmobili).
Stando così le cose, si può ben intuire il dramma del comunicatore pubblico che deve scrivere un avviso che abbia a che fare con quello che i comuni mortali chiamano affitto di una abitazione: se usa il termineaffitto compie un'imprecisione giuridica, se usa il terminelocazione rende poco efficace la sua comunicazione. So che su questo problema si sono consumate in molti comuni lacerazioni tra responsabili dell'URP giustamente attenti alla comprensibilità dei messaggi e dirigenti altrettanto giustamente attenti alla correttezza giuridica dei testi emessi dal Comune.
Cito il manifesto di Padova come esempio, accanto ad altri che certamente esistono, di giusto equilibrio tra queste due esigenze contrapposte. La scelta è stata quella di differenziare il titolo del manifesto dal testo del manifesto stesso e dal bando da cui il manifesto trae origine: nel titolo è stata fatta prevalere la comprensibilità per tutti, nei testi l'esattezza giuridica (si parla, infatti, di "erogazione del contributo al pagamento del canone di locazione"). Ma anche questo compromesso, che innova una tradizione per la quale anche nel titolo compariva, negli anni passati, la parola locazione, deve essere il frutto di una decisione sofferta e comunque si merita di essere definito un atto di coraggio, come lo sono tutte quelle decisioni innovative che escono dalla tranquilla inerzia della meccanica riproposizione delle scelte tradizionali.
Questo di affitto e locazione è solo uno dei casi nei quali si scontrano esattezza terminologica e uso comune: si pensi alle coppie possessore - proprietario, tassa - imposta, multa - ammenda (e anche sanzione amministrativa), nelle quali uno dei due termini ha, nel linguaggio comune, un'estensione più ampia di quella che ha nel lessico tecnico e assume su di sé anche il significato dell'altro termine della coppia.
In questi casi, ogni tentativo di semplificazione del linguaggio amministrativo ha buone ragioni per fermarsi: se una parola ha le caratteristiche di termine tecnico, sanzionato da codici o leggi, non è sostituibile da nessun'altra parola. Semmai c'è da chiedersi perché codici eleggi non riescono a trovare consonanza con il lessico comune, ma si trattadi una questione che travalica, e di molto, le possibilità di intervento di chi nelle pubbliche amministrazioni si occupa di comunicazione o più semplicemente di scrittura di testi rivolti ai cittadini.
Il cittadino molto spesso non si rende conto dei vincoli che possono impedire la riformulazione di espressioni tecnico-giuridiche esottolinea la sua insoddisfazione per la distanza che continua a sperimentare tra la lingua che lui usa tutti i giorni e quella che trova nei testi amministrativi. Ma, se ha certamente ragione a protestare quando incontra parole come istanza, oblazione, ingiunzione,che possono essere sostituite dai più comuni richiesta odomanda, pagamento, ordine, ha meno ragione quando trova parole come locazione, possessore, ammenda,sanzione amministrativa. E dovrebbe gioire di più quando un'amministrazione pubblica gli fa trovare nel titolo di un manifesto un comunissimo, ma giuridicamente inesatto, affitto.
[Se il lessico non è familiare, «Guida agli Enti Locali», 17 novembre 2001]