A scuola ci hanno insegnato che in un testo non bisogna ripetere una stessa parola a breve distanza. Il suggerimento, in sé eper sé, è giusto, perché la ripetizione delle stesse parole dimostra scarsa padronanza della lingua e genera noia nel lettore, che non è incentivato a proseguire nella lettura.
Pensate a quanto poco attraente sia un testo come: «Sono stato a Londra. Londra è proprio una bella città. Uno dei miei più grandi desideri è di tornare presto a Londra, perché ho visitato solo una parte minima di Londra».Tutti noi sapremmo evitare la noiosa ripetizione di Londra, usando pronomi, sostantivi che in qualche modo sostituiscano il nome della città, avverbi di luogo.
Troppo spesso, però, il giusto desiderio di evitare ripetizioni viene portato al parossismo e provoca più danniche vantaggi; come ha fatto anni fa uno scolaro delle elementari il quale, dovendo parlare dell'olio, cercò di evitare la ripetizione sostituendo olio con un ambiguissimo liquido giallo.
Ecco, dunque, una prima indicazione: c'è un limite al desiderio di variazione, ed è quello di non cadere in soluzioni più stucchevoli di quanto sarebbe la semplice ripetizione.
Ma c'è un altro limite alla ricerca di variazione a tutti i costi. Chi segue questa rubrica, sa che i termini tecnici hanno la caratteristica di non poter essere sostituiti da altre parole, anche se apparentemente hanno lo stesso significato. Questo principio della non sostituibilità del termine tecnico può essere esteso, nei singoli testi, a tutte le parole chiave.
Faccio un esempio tratto da un testo dell'amministrazione universitaria.
Da qualche anno, sulla base del programma Sokrates-Erasmus, gli studenti delle università dell'Unione europea possono trascorrere un periodo di studio in un'università di un altro Stato dell'Unione, facendo esami che vengono integralmente riconosciuti nell'università di provenienza.
Questa possibilità non è del tutto libera; lo studente deve essere inserito in un flusso (termine tecnico che indica un accordo istituito, con determinate procedure, tra un professore dell'università di provenienza e uno dell'università di arrivo). Ebbene, nel bando per gli scambi Sokrates-Erasmus di un'università italiana, immagino per ragioni di variazione, il professore responsabile di un flusso è stato denominato a volte responsabile di flusso, a volte coordinatore del flusso.
Con quale risultato?
Con il risultato che gli studenti non capivano bene se si trattassedella stessa persona o di due persone diverse; e in gran numero sono andati dal responsabile dell'ufficio decentrato diFacoltà a chiedere precisazioni.
Ecco dunque un altro limite alla variazione: a volte usare un sinonimo può rendere difficoltosa l'individuazione del referente, cioè della cosa o della persona designata dalla parola.
Ci troviamo di fronte a un ottimo esempio di che cosa significhi una delle massime generali che deve avere bene in testa chi si trova a scrivere testi amministrativi: l'ideale è scrivere testi chiari, efficaci ed eleganti; ma se è impossibile raggiungere tutti questi obiettivi, quello a cui rinunciare è l'eleganza.
Dunque: stiamo attenti a non usare sempre le stesse parole: la nostra lingua, come tutte le lingue, ha moltissime risorse lessicali, ed è bene utilizzarle per evitare di scrivere un testo noioso.
Ma questa regola ha alcuni limiti precisi: non deve essere perseguita in maniera parossistica, trovando soluzioni che peggiorano la comprensibilità; non può riguardare i termini tecnici; è bene che non coinvolga le parole-chiave.
Chiarezza e possibilità di capire con immediatezza di che cosa si stia parlando sono obiettivi che devono prevalere sull'eleganza e la vivacità del testo.
Almeno per quel che riguarda testi di carattere pratico, quali sono i testi amministrativi.
Se poi un dipendente pubblico, di suo, scrive racconti e romanzi, allora la regola non vale; ma solo quando è fuori dell'ufficio e scrive i suoi, anche magnifici, testi creativi.
[Le ripetizioni inevitabili, «Guida agli Enti Locali», 2 marzo 2002, p. 88]