SEMPLIFICAZIONE DEL LINGUAGGIO AMMINISTRATIVO

«MANUALE DI STILE»

di Michele A. Cortelazzo e Federica Pellegrino



Con il titolo «Manuale di stile», la «Guida agli Enti Locali», settimanale di documentazione delle autonomie del «Sole 24 ore», pubblica periodicamente una rubrica dedicata alla semplificazione del linguaggio amministrativo.
In queste pagine mettiamo a disposizione, in un ordine diverso da quello di pubblicazione, gli articoli già usciti.

Le Amministrazioni pubbliche non sanno comunicare neanche le buone notizie

Perché le Amministrazioni pubbliche non sanno comunicare, in forma scritta, neanche le buone notizie? Perché nessuno ha mai insegnato ai pubblici dipendenti a scrivere in maniera efficace e anche perché nessuno gli dà il tempo per scrivere bene.
(Michele A. Cortelazzo, [Manuale di stile], «Guida agli Enti Locali», 11 dicembre 1999).

Scrivere chiaro richiede tempo

Per scrivere bene sono necessarie buone capacità comunicative, ma anche un'adeguata disponibilità di tempo. Per questo in altri Paesi esistono, all'interno delle Amministrazioni pubbliche, delle specifiche figure professionali.
(Federica Pellegrino, Il tempo della scrittura], «Guida agli Enti Locali», 30 marzo 2002).

Come ci si rivolge al cittadino?

Come rivolgersi al cittadino? Con il vecchio e distanziante Signoria Vostra? No, decisamente meglio il Lei. E come si autorappresenta l’ufficio che emette il messaggio? Con l’impersonale o con il noi, certamente più diretto?
(Michele Cortelazzo, Più vicini all'interlocutore, «Guida agli Enti Locali», 25 gennaio 2003).

Quando le informazioni sono troppe

A volte le Amministrazioni pubbliche si comportano come mamme premurose ma soffocanti: riempiono le comunicazioni ai cittadini di informazioni. Alcune sono fondamentali, altre accessorie. È sempre opportuno produrre testi sintetici ed essenziali, rinviando gli approfondimenti ad altri strumenti informativi.
(Federica Pellegrino, I buoni consigli di troppo, «Guida agli Enti Locali», 19 febbraio 2000).

Troppe informazioni rendono troppo complesse le frasi

La sintassi dei testi amministrativi è spesso complessa: le frasi sono lunghe e contorte. A volte questo accade perché chi emette il messaggio è colto dall'ansia di dire tutto e di dirlo subito. Invece è bene frazionare le informazioni in frasi diverse. In via di principio la regola dovrebbe essere: "un'informazione, una frase"
(Michele A. Cortelazzo, [Manuale di stile], «Guida agli Enti Locali», 22 gennaio 2000).

Focalizzare le informazioni

Uno stesso fatto può essere detto in modi diversi, a seconda del punto di vista che si assume. Le comunicazioni delle amministrazioni pubbliche devono far propria la prospettiva dei cittadini: il punto di partenza devono essere le cose note e familiari ai cittadini, non le cose note e familiari all'amministrazione.
(Michele A. Cortelazzo, Dal punto di vista del cittadino, «Guida agli Enti Locali», 31 marzo 2001).

Quando usare il passivo

Una frase attiva è più facile da capire di una frase passiva. I manuali di stile suggeriscono di preferire la forma attiva alla forma passiva. Ma ci sono dei casi nei quali l'uso del passivo è il modo migliore, se non l'unico possibile, per esprimere un concetto o per legare bene il testo o per non produrre frasi stucchevoli.
(Michele A. Cortelazzo, La riscossa del passivo, «Guida agli Enti Locali», 13 aprile 2002).

Il gerundio può essere ambiguo

Il gerundio è un modo che può creare difficoltà comunicative e ambiguità: non rende visibile il soggetto della frase, costruisce frasi dense, complesse e con troppe informazioni, non rende esplicito il tipo di collegamento che c'è tra la frase al gerundio e la frase che la regge.
(Michele A. Cortelazzo, Gerundio a doppio taglio, «Guida agli Enti Locali», 6 luglio 2002).

Rendere trasparente il lessico

Uno dei talloni d'Achille dei testi amministrativi è il lessico: a volte sembra proprio che, messi di fronte ad alternative lessicali, i redattori di testi amministrativi tendano a scegliere le parole più rare e difficili. Ecco, allora, che non si ricorda ma si rammenta, si eroga una somma e non la si versa, si concede un nulla osta anziché un parere favorevole. Bisognerebbe rammentarsi di quello che scriveva, nel Trecento, Dino Compagni, quando invitava i notai a non essere avari nell'"imbreviar sue scritte", cioè non essere trascurati nello stendere gli atti con chiarezza.
(Federica Pellegrino, La comunicazione leggera, «Guida agli Enti Locali», 2 giugno 2001).

I tecnicismi: un difficile problema comunicativo

I termini tecnici sono quelle parole che non possono essere sostituite da altre locuzioni, perché esprimono, spesso in base a una esplicita definizione, un concetto univoco. Spesso, però, nel linguaggio comune sono usati in modo improprio ma diffuso, o si alternano a sinonimi. Cosa deve fare il comunicatore pubblico quando si trova di fronte a queste parole (per es. quando si trova a dover parlare dell'affitto di una casa, mentre la parola tecnicamente e giuridicamente corretta è locazione)? C'è qualche esempio di soluzione; ma di fronte ai tecnicismi i tentativi di semplificazione, si devono spesso fermare.
(Michele A. Cortelazzo, Se il lessico non è familiare, «Guida agli Enti Locali», 17 novembre 2001).

Eufemismi

L'uso di eufemismi ha lo scopo di attenuare il senso spiacevole o imbarazzante di un'espressione, e quello meno evidente, ma comunque presente, di imprimere soggezione al cittadino, di impressionarlo. Certamente, ottengono spesso il risultato di non dire con esplicitezza le cose che si vogliono dire
(Federica Pellegrino, Eufemismi tutti da decifrare, «Guida agli Enti Locali», 1 giugno 2002).

Le sigle

Le sigle sono spesso una manna per chi scrive un testo: permettono di risparmiare tempo e spazio. Ma, di riflesso, fanno perdere tempo a chi legge un testo, che deve ricostruire il significato della sigla, quando ci riesce! Per questo è bene essere parchi nell'uso delle sigle; e, quando non se ne può fare a meno, è bene spiegarle la prima volta che compaiono nel testo.
(Federica Pellegrino, La confusione delle sigle, «Guida agli Enti Locali», 27 luglio 2002).

Forestierismi e latinismi

La più naturale aspettativa che un testo pubblico e istituzionale dovrebbe soddisfare è di muoversi nello stesso orizzonte culturale dei cittadini cui è rivolto, rispettandone la lingua nazionale. Invece spesso i testi amministrativi contengono forestierismi o latinismi. A volte può essere necessario usare parole non appartenenti alla lingua nazionale: ciò avviene quando queste parole non hanno un corrispettivo in italiano e al loro posto si dovrebbe usare un dispendioso giro di parole. Se non ci sono alternative, si usino pure le parole straniere (latinismi compresi): ma le si spieghino, la prima volta che compaiono, con parole di uso comune.
(Federica Pellegrino, Nei panni di chi legge, «Guida agli Enti Locali», 15 dicembre 2001).

Non sempre è necessario usare parole diverse

A scuola ci hanno insegnato che in un testo non bisogna ripetereuna stessa parola a breve distanza. È un buon suggerimento, che però non deve portare al parossismo o alla ricerca di sostituti meno chiari della parola sostituita.
(Michele A. Cortelazzo, Le ripetizioni inevitabili, «Guida agli Enti Locali», 2 marzo 2002).

La realizzazione grafica

Da quando si usa il computer, è forte il rischio di curare male la realizzazione grafica dei nostri testi: ormai il computer sembra fare tutto da solo, ogni lettera, ogni comunicato sembra sempre ben composto. Ma proprio la facilità con cui ci si può ora sbizzarrire con corpi, caratteri e altre formattazioni, porta spesso a comporre dei testi graficamente pasticciati. Invece bisogna sempre ricordarsi che la chiarezza della struttura logica del testo deve accompagnarsi a una presentazione grafica altrettanto chiara
(Federica Pellegrino, Quando la forma è sostanza, «Guida agli Enti Locali», 7 ottobre 2000).

Elogio del capoverso

Spesso non badiamo a come strutturiamo graficamente il testo. In particolare, non prestiamo sufficiente attenzione alla logica con cui andiamo a capo. In realtà la suddivisione in capoversi è essenziale per rendere manifesto al lettore il progetto che lo scrivente vuole realizzare quando scrive un testo.
(Michele A. Cortelazzo, Elogio del capoverso, «Guida agli Enti Locali», 15 febbraio 2003).

Punteggiatura: come far respirare la frase

Ci si pensa poco, ma una delle forme in cui si manifesta l'ambiguità linguistica è anche il cattivo uso della punteggiatura. In particolare, spesso usiamo a sproposito la virgola. Eppure le regole, anche se non valide in assoluto, esistono!
(Federica Pellegrino, I segreti della punteggiatura, «Guida agli Enti Locali», 12 aprile 2003).

Punteggiatura: come dividere le frasi

Le regole, anche queste non valide in assoluto, esistono anche per l'uso del punto, del punto e virgola, dei due punti, delle lineette e delle parentesi.
(Federica Pellegrino, I confini della frase, «Guida agli Enti Locali», 17 maggio 2003).

Un manifesto non può contenere troppe parole

Spesso le Amministrazioni pubbliche devono dare ai cittadini informazioni complesse, realizzate in testi per forza di cose lunghi e dettagliati. Un manifesto murale è la forma più adatta per queste comunicazioni? Certamente no. Il manifesto deve contenere solo le informazioni essenziali e rinviare, per i particolari, ad altri strumenti di comunicazione.
(Michele A. Cortelazzo, La trasparenza di un manifesto, «Guida agli Enti Locali», 17 febbraio 2001).

I titoli dei manifesti

In un manifesto affisso in un ufficio o nei muri di una città il titolo è fondamentale, ancor più che in un giornale: il manifesto lo si vede da lontano e lo si legge solo se, dal titolo, sembra valerne la pena. Il titolo deve dunque catturare l'attenzione; ma, dato che siamo nell'ambito della comunicazione istituzionale, non può essere brillante a tutti i costi. E deve essere semplice, ma non semplicistico.
(Federica Pellegrino, Manifesti: tutto in uno slogan, «Guida agli Enti Locali», 16 dicembre 2000).

L'oggetto di una lettera

Anche le lettere burocratiche hanno un titolo: è quello che va sotto il nome di 'oggetto'. Ma scrivere un buon titolo è più facile di quanto non sia scrivere bene l'oggetto di una lettera: l'oggetto, infatti, serve sia al destinatario come titolo della lettera, sia all'ufficio per archiviare e ritrovare con facilità il documento. Le esigenze del destinatario e quelle dell'ufficio possono essere diverse, o addirittura entrare in conflitto.
(Michele A. Cortelazzo, Chiarezza e sintassi? Optional. Quell'oggetto delle lettere amministrative che non spiega nulla, «Guida agli Enti Locali», 31 marzo 2001).

Le lettere devono essere autosufficienti

Saper estrarre informazioni dall'intestazione di una lettera o dal suo oggetto non è un'abilità semplice e alla portata di tutti. Per questo è bene che una lettera contenga al suo interno tutte le informazioni necessarie; e se questo significa dare una seconda volta un dato che è già contenuto nell'intestazione o nell'oggetto, meglio essere ripetitivi che non farsi capire!
(Michele A. Cortelazzo, La lettera autosufficiente, «Guida agli Enti Locali», 3 giugno 2000).

Come strutturare un provvedimento

Finora ci siamo occupati delle comunicazioni ai cittadini (lettere, manifesti ecc.). E i provvedimenti, gli atti, le delibere, le ordinanze? Continuiamo a scriverle come sempre? Un'intelligente proposta del Dipartimento della Funzione pubblica è stata messa alla prova, con successo, dall'Università di Cagliari.
(Michele A. Cortelazzo, L'inversione rafforza il testo, «Guida agli Enti Locali», 4 ottobre 2003).







ultima modifica 30/08/2004


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A cura di Michele Cortelazzo
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