Università di Cagliari. Il dirigente dei servizi bibliotecari
emette una disposizione sull'adozione di un software per la
catalogazione dei libri. Cosa ci aspettiamo?
Una sequela di: visto che, considerato che eccetera. Invece no.
Preceduto dal titoletto «decisione», si legge un testo di
assoluta chiarezza e brevità: «Il Direttore dell'Area
dispone che, con decorrenza immediata, in tutte le biblioteche
dell'Ateneo sia adottato in modo esclusivo il s/w
Sebina/SBN».
Segue, aperta dal titoletto «motivazione», la
spiegazione: «La presente Disposizione Dirigenziale scaturisce
dalla necessità di:
1. rendere pienamente operativi i deliberati
degli Organi Accademici e gli accordi sottoscritti con la Regione
Autonoma della Sardegna;
2. promuovere l'ottimizzazione delle
attività e della qualità dei servizi bibliotecari;
3. perseguire l'obiettivo della razionalizzazione
delle risorse umane e finanziarie».
Alla fine, sotto la rubrica «riferimenti», l'elenco
degli atti dai quali il provvedimento in esame ricava la sua
legittimità.
Nell'organizzare in questo modo un suo provvedimento, il dirigente
dell'area servizi bibliotecari dell'Università di Cagliari ha
applicato, tra i primi in Italia, i suggerimenti emersi dal
progetto «Chiaro!» del dipartimento della Funzione
pubblica (quello al quale, mi pare di capire, l'attuale ministro ha
improvvidamente messo la sordina).
Quali sono i vantaggi di questo modo di organizzare la
testualità di un atto? Innanzitutto quello di rendere
manifesta al lettore l'organizzazione testuale del testo,
distinguendo con chiarezza il dispositivo, la motivazione, i
riferimenti normativi. In secondo luogo quello di mettere in primo
piano quello che interessa il lettore, e cioè la decisione
presa. Spesso, quando si legge un'ordinanza del sindaco o il
decreto di qualche autorità, si deve scorrere un'interminabile
sequenza di riferimenti normativi, di motivazioni, per giungere
alla fine al vero contenuto del testo, che spesso è di una
brevità assoluta («si ordina la chiusura al traffico
veicolare di via Roma dalle ore 15 alle 24 del giorno 15 agosto
2003»).
Ma c'è una semplificazione anche per chi scrive, che può
ridurre all'osso le sue spiegazioni, senza infiorettarle di
elementi di introduzione, che, per ragioni di variazione,
costringono a ricorrere a tutta una serie di sinonimi (visto che,
considerato che, ritenuto che, ribadito che, preso atto che,
accertato che): la confezione dei testi diventa, quindi, più
rapida e più facile.
C'è da credere che ci saranno molte resistenze all'adozione di
queste modalità di stesura dei provvedimenti e che verranno
accampate ragioni giuridiche.
Mi è stato detto, ad esempio, che in questo modo, anticipando
la disposizione alla motivazione o ai riferimenti, non viene
rappresentato nell'atto il processo che porta all'assunzione della
decisione.
Non ho una preparazione giuridica, ma mi pare una critica da
azzeccagarbugli.
Non è detto che il processo con cui si prende una decisione
debba essere rappresentato, nello stesso ordine, in un testo. In
altri Paesi (ad esempio, la Germania) anche nelle sentenze il
dispositivo precede la motivazione.
L'importante è che un atto contenga le motivazioni di una
decisione, che naturalmente non può essere arbitraria o
soggettiva, e deve essere sottoponibile a un eventuale ricorso. Se
si riesce a trovare un modo per salvaguardare queste necessità
sostanziali, dando al tempo stesso efficacia comunicativa all'atto,
si raggiunge l'optimum. O no?
Certo, una qualche copertura dall'alto toglierebbe ogni remora ai
dipendenti pubblici che amano la semplicità e l'efficacia
comunicativa anche nella stesura degli atti, ma temono il
contenzioso degli azzeccagarbugli.
In questo senso, il proseguimento delle attività del progetto
“Chiaro!” e l'ufficializzazione delle proposte di
redazione chiara e giuridicamente corretta di un atto
amministrativo sarebbero un servizio utilissimo per i dipendenti
pubblici ma anche per tutti i cittadini.
[L'inversione rafforza il testo, «Guida agli Enti Locali», 4 ottobre 2003]