Dal punto di vista linguistico, si parla di comunicazione pubblica in riferimento a testi di interesse generale o di rilievo pubblico.
E che cosa c’è di più pubblico dei manifesti comunali che tappezzano i muri delle nostre città? O degli avvisi esposti negli uffici amministrativi o nei mezzi di trasporto pubblico?
La questione dell’efficacia comunicativa di questi testi assume un rilievo particolare quando se ne considera il contesto.
Difficilmente chi cammina per strada, chi entra in un ufficio comunale o chi sale su un autobus si sofferma a leggere con attenzione gli avvisi esposti al pubblico e, all’occasione, prende anche qualche prezioso appunto. Visibilità e collocazione strategica a parte, se gli avvisi non hanno una espressione chiara e una impostazione grafica che ne garantisca una buona leggibilità materiale, il rischio che i passanti non li notino neppure è enorme.
E poiché la nostra lettura procede a balzi, con frequenti ritorni dell’occhio all’indietro, la comunicazione al pubblico deve colpire l’osservatore in modo tale che il suo occhio saltellante venga "arpionato" dai dati essenziali della comunicazione.
L’arpione più potente di un testo esposto al pubblico è il titolo.
La regola vuole che il titolo anticipi il testo e, suscitando un senso di curiosità e attesa nel lettore, lo costringa a proseguire nella lettura.
Il titolo è quindi un "invito" alla lettura. Un invito indiscriminato? Certamente no, in quanto deve anche saper selezionare i propri lettori.
Vediamo subito un esempio. Giugno 2000. Nella calda estate delle dichiarazioni dei redditi, uno sportello bancario espone un avviso che informa sulle diverse modalità di pagamento delle imposte dirette presso quell’istituto. Titolo: "Avviso importante". Questo titolo non è informativo e mette inutilmente in allerta chiunque entri in quella banca, perdendo così buona parte della sua forza di selezione. L’effetto sarebbe diverso se l’avviso fosse introdotto da un titolo come "Pagamento delle imposte dirette" che, fornendo l’informazione di base, cattura di fatto solo le persone interessate.
Nel suo Dizionario di giornalismo, Mario Lenzi scrive che "il titolo deve avere una formulazione sempre precisa, mai generica; sempre chiara e sintetica, mai ermetica". Nella titolazione giornalistica la tentazione dello slogan o della licenza letteraria, con conseguente effetto criptico e violazione della regola di Lenzi, è forte.
Ma nelle comunicazioni ai cittadini questa regola deve guidare la costruzione dei titoli e liberare dal luogo comune che semplificare equivalga a rendere banale ciò che è irrimediabilmente complesso.
In realtà, la semplificazione asseconda lo scopo principale della comunicazione: capire e farsi capire.
Un titolo lungo e circolare non funziona perché non permette di individuare con immediatezza i contenuti che dovrebbero introdurci alla lettura del documento.
Per esempio, a Trento era stato affisso un manifesto titolato "Aggiornamento degli Albi dei cittadini che possono assumere l’ufficio di Giudice Popolare nelle Corti di Assise o nelle Corti di Assise di Appello per il biennio 1996-1997". In seguito, nel corso di un programma di semplificazione del linguaggio burocratico, lo stesso titolo è stato trasformato in "Aggiornamento degli Albi di Giudice Popolare nelle Corti di Assise o nelle Corti di Assise di Appello - biennio 1998-1999". L’informazione risulta più chiara e diretta dopo aver ridotto di un terzo il numero delle parole.
Tuttavia, esistono anche casi in cui è la lingua italiana stessa, con i suoi vocaboli lunghi e la sintassi articolata, a rendere difficile l’espressione chiara e sintetica di un’idea. Il titolo di un recente manifesto del Comune di Padova sembra proprio non volersi piegare a istanze di semplificazione: "Nuovo programma pluriennale di attuazione del Piano Regolatore Generale - Documento Programmatico Preliminare". è un titolo decisamente lungo, ma non permette tagli di nessun tipo.
[Manifesti: tutto in uno slogan, «Guida agli Enti Locali», 16 dicembre 2000]