Spesso la lingua ci dà la possibilità di raggiungere lo stesso obiettivo seguendo strade diverse, dove l’obiettivo è il significato che vogliamo comunicare e le strade sono i costrutti grammaticali che possiamo usare. Riprendendo l’argomento dello scorso numero, esistono dei casi in cui si può usare l’indicativo al posto del congiuntivo senza alterare il senso della frase, senza urtare la sensibilità dei parlanti più sensibili e rispettando la norma grammaticale. L’operazione, per quanto semplice, non consiste nella sostituzione automatica di un modo verbale all’altro, ma richiede di cambiare costruzione grammaticale.
Un caso riguarda la formulazione di ipotesi. In italiano esistono due tipi di ‘periodo ipotetico’: quello dell’irrealtà si esprime con il congiuntivo e il condizionale e mette in relazione due eventi che si presume non siano reali («Se fossi ricco, mi comprerei un castello»). Quello della realtà, invece, si esprime con l’indicativo e stabilisce un rapporto tra eventi che si ripetono regolarmente («se» viene allora interpretata come ‘ogni volta che’) o che stanno in relazione di causa-effetto, come in «Se Lei non pagherà la somma indicata nell’avviso di mora, il Concessionario provvederà al pignoramento dei beni dell’inquilino». Spesso il registro formale usa il congiuntivo anche per formulare ipotesi su eventi ritenuti probabili, come in «Se fosse superata per più giorni la soglia di allarme ciò potrebbe comportare una serie di disturbi sanitari». Ma poiché le due prospettive sono equivalenti, è preferibile scegliere quella all’indicativo.
Un altro caso riguarda la scelta delle congiunzioni, cioè quegli elementi che collegano due o più frasi e che, in taluni contesti, diventano il termometro della complessità sintattica. Il congiuntivo è infatti obbligatorio con congiunzioni complesse quali «nel caso che», «nel caso in cui», «qualora», «sempre che», «a condizione che», «ammesso che», «purché», frequenti nel linguaggio burocratico per quel tocco di ricercatezza che sanno dare alla pagina. Per esempio, «Qualora/Nel caso in cui l’ufficio verifichi l’effettiva esistenza di errori, provvederà all’annullamento dell’avviso». Ma a parte questa sfumatura aristocratica, il loro significato è del tutto equivalente a «se», congiunzione semplice, breve e di uso comune, che sopporta tranquillamente l’indicativo nel pieno rispetto della grammatica: «Se l’ufficio verifica l’effettiva esistenza di errori, provvederà all’annullamento dell’avviso». Analogo discorso va fatto quando la congiunzione si trova all’interno del periodo, come in «Il contribuente avrà diritto al rimborso sempre che/a condizione che/purché risulti in possesso dei requisiti necessari», che può diventare «Il contribuente avrà diritto al rimborso se risulta in possesso dei requisiti necessari». Sostituire le congiunzioni complesse con «se» non altera il contenuto del messaggio, mantiene comunque il registro elevato richiesto dalla comunicazione istituzionale e permette l’uso dell’indicativo. Sta a chi scrive allora scegliere la via più semplice tra le due disponibili. Attenzione, però, perché talvolta il congiuntivo è una strada obbligata, per esempio nelle frasi finali introdotte da «affinché» o «perché», congiunzioni che richiedono necessariamente il congiuntivo e non hanno equivalenti che funzionino con l’indicativo: «Vi inviamo la segnalazione di un cittadino, affinché/perché esaminiate il problema sollevato e rispondiate entro 15 giorni». Ma in tutti gli altri casi l’indicativo è preferibile.
Ovviamente, caldeggiare l’uso dell’indicativo nei contesti che lo permettono è una misura in sintonia con le tecniche di scrittura controllata e quindi a sostegno dei cittadini, per i quali il congiuntivo, modo verbale meno frequente, potrebbe essere un ostacolo alla comprensione dei testi amministrativi. Chi scrive i testi, invece, è tenuto a conoscere i contesti d’uso di entrambi i modi verbali, per poter decidere, di volta in volta, qual è il più indicato.
[La riscossa dell'indicativo, «Guida agli Enti Locali», 30 novembre 2002]